A dare un mesto benvenuto al forestiero che decide di visitare Campo di Belforte c’è una chiesa piuttosto anonima e senza evidenti tracce di antichità, apprezzabile però per il fatto che nelle sue vicinanze si può lasciare l’auto per i pochi istanti necessari a una visita al lontano castello. Entrando nel paese si trovano, disposte su un tappeto d’erba che non può fare a meno di trascinare l’immaginazione indietro di qualche secolo, case di ogni tipo: alcune piuttosto malmesse, altre intonacate nel modo più infelice, altre ancora riportate a una seconda giovinezza da sapienti lavori di restauro. All’estremo limite del podio su cui rimane artigliato il villaggio, c’è una graziosa scala di pietra che dovrebbe condurre a una casa situata poco più in basso, ma che al momento è anche l’unica via per raggiungere la chiesa più antica del luogo. San Pietro, questo è il santo a cui è intitolato il luogo di fede, è buona solo a metà. O meglio, la parte ristrutturata a casa sembra in ottima forma, il resto dell’edificio sembra rassegnato a mendicare un aiuto che difficilmente arriverà. Ed è un peccato, perché questa antica chiesa – oggi così maltrattata – doveva godere in passato di grande considerazione se è vero che per la sua costruzione sono state utilizzate pietre di arenaria perfettamente squadrate, alcune pazientemente lavorate per incidere con lo scalpello motivi geometrici. . Queste operazioni erano riservate in epoca medievale a edifici di una certa importanza e notorietà. Piuttosto curiosi sono anche alcuni conci riutilizzati che si vedono sulla parete di destra, ai quali mani ormai dimenticate hanno dato la forma ora di volti umani ora di volti animali e che secondo lo studioso Marco Renzi sarebbero protuberanze legate al culto della lattazione, una forma di credenza a metà strada tra il fare cristiano e quello pagano, tipica delle culture agro-pastorali del nostro Appennino almeno fino alla metà del secolo scorso. E allora è bello chiudere gli occhi per un attimo e immaginare il castello di Campo pieno di vita come un tempo, con la gente che, tornando dal lavoro nei campi, cercava protezione sia nei riti della tradizione sia nel calore della casa e nelle solide mura che fino a non molto tempo fa abbracciavano il paese. Campo di Belforte, anticamente noto come Campli, divenne proprietà dei Conti di Piagnano nel 1377 per volere di Papa Gregorio IX. Mezzo secolo dopo questi conti, come Oliva, si trovarono alleati dei Malatesta di Rimini per ragioni di convenienza, e questo portò all’assedio del castello di Campo da parte degli urbinati nell’anno 1439. Questo assedio fu forse il momento storico più importante per Campo di Belforte, ma – come riportano le antiche cronache e come ricorda il professor Daniele Sacco – valse al borgo anche l’appellativo di “ignobile Castello”, perché proprio nelle feroci operazioni militari di cui parliamo un giovanissimo Federico da Montefeltro (allora diciassettenne) trovò il suo battesimo del fuoco, cioè fu ferito molto gravemente.
Castello di Campo: Chiesa di Campo, Casa-torre (https://www.ilfederico.com/campo-di-belforte/).